L’invenzione della natura

“La natura è un insieme vivente” è un concetto tanto radicato oggi da sembrare banale. Ma non è stato sempre così, e se volessimo attribuire la sua invenzione a qualcuno in particolare, sarebbe proprio la persona che ha scritto quelle esatte parole nel XIX secolo, “l’uomo più famoso al mondo dopo Napoleone” secondo i contemporanei: Alexander von Humboldt.

Chi?! Se la vostra prima reazione è stata questa, non preoccupatevi, siete in buona compagnia. Ma leggendo L’invenzione della natura di Andrea Wulf potrete davvero rendervi conto di come la visione del mondo di Humboldt sia “penetrata come per osmosi nelle nostre coscienze”, assumendo “una tale visibilità da rendere invisibile l’uomo che vi stava dietro”. Wulf ce lo descrive la prima volta mentre, nel 1802, sulla vetta del Chimborazo nell’odierno Ecuador, assorbe esausto il panorama e si rende conto che la vegetazione si distribuisce in fasce secondo l’altezza in modo molto simile a quanto avviene sulle montagne europee:

Nessuno prima di lui aveva mai guardato le piante in questo modo … Ora c’era un uomo che considerava la natura come una forza globale, con zone climatiche corrispondenti attraverso i continenti: un concetto radicale a quei tempi, ancora in grado di influenzare la nostra concezione degli ecosistemi.

Quel momento cambiò il destino di Humboldt che, nato in una famiglia aristocratica prussiana e partito per scoprire il mondo rinunciando alla sua vita privilegiata, ora sentiva di dover condividere con quante più persone possibile quella “profusione universale mediante la quale la vita è distribuita ovunque”. Così, mentre gli scienziati avevano precedentemente classificato il mondo naturale in unità tassonomiche gerarchiche, di ritorno dal Chimborazo lui produsse un disegno: la Naturgemälde, “un micorcosmo in una sola pagina”.

Non solo, attraverso le sue accurate descrizioni e i racconti appassionati raccolti in libri come Quadri della natura e Cosmos, tentò – riuscendoci – di far comprendere al grande pubblico quanto fosse importante studiare i fenomeni naturali senza considerarsene estranei, ma anzi riconoscendo che “ovunque la natura parla all’uomo con una voce familiare al suo animo”. Non sono solo parole.

Humboldt fu il primo a spiegare le funzioni che le foreste svolgono per il clima, tramite il rilascio di umidità e di ossigeno nell’atmosfera, e a parlare di cambiamento climatico dannoso indotto dall’uomo dall’impatto imprevedibile sulle “generazioni future”. I motivi erano la deforestazione, l’irrigazione sconsiderata e le “grandi masse di vapore e di gas” prodotte dai centri industriali. Thoreau, Marsh e Muir si ispireranno esplicitamente ai suoi scritti, dando vita al movimento ambientalista americano.

Fu appassionato di misurazioni: inventò le isoterme e scoprì l’equatore magnetico. Fu di ispirazione per generazioni di studiosi: Charles Darwin per esempio affermò che senza la lettura di Personal Narrative di Humboldt non si sarebbe mai imbarcato sul Beagle e non avrebbe mai concepito Origin of Species. Ma la sua influenza sconfinò decisamente dal campo prettamente scientifico.

Thomas Jefferson lo considerava tra gli artefici della “bellezza” della sua epoca, Wordsworth e Coleridge trasferirono la sua concezione della natura nelle loro poesie, il rivoluzionario Bolívar gli attribuì “la scoperta del Nuovo Mondo”, e Goethe amava trascorrere del tempo con lui, paragonandolo a una “fontana con tante cannelle da cui fluiscono all’infinito rivoli rinfrescanti”.

Proprio questa forse è l’eredità più grande di Humboldt, di cui dovremmo far tesoro per scongiurare gli effetti dannosi dell’appropriazione esclusiva di risorse e saperi. Wulf scrive: “La conoscenza – sosteneva Humboldt – andava condivisa, scambiata e messa a disposizione di tutti”. E poi: “Humboldt non era tanto interessato a scoprire nuovi eventi isolati, quanto a connetterli. I singoli fenomeni sono importanti soltanto nella ‘loro relazione con l’insieme'”. Il nome di Humboldt è stato dato a piante, animali, fiumi e città, ma a lui questo non sarebbe importato granché se avesse saputo che sarebbe andato perso l’insegnamento a cui teneva di più, ovvero che la natura è:

animata da un respiro – da un polo all’altro una vita scorre liberamente dentro le rocce, le piante, gli animali, e anche nel petto rigonfio dell’uomo.

Quel respiro non è infuso da una divinità, ma si può sentire provenire dalla terra stessa ed è in sintonia con i nostri “sentimenti intimi”. L’invenzione della natura è per l’autrice un modo per “trovare Humboldt” immergendosi nei suoi scritti e seguendo i suoi avventurosi viaggi intorno al mondo. A noi non resta che ringraziarla e lasciarci trasportare dal suo racconto.

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